I consumi finali di persone e famiglie possono essere catalogati in tre grandi macroaree:
alimentazione e salute: cibo, acqua, visite mediche (cura della persona), medicine (cura della persona), sport, tempo libero.
casa e lavoro/mezzi di produzione: appartamenti, uffici, consumi energetici, mobili, accessori, elettrodomestici, attrezzature, manutenzione.
mobilità (auto, treni, aerei, autobus, camion, porti, navi, manutenzione, taxi).
Ogni tipo di consumo individuale e collettivo andrebbe valutato per il suo impatto sul benessere soprattutto dei soggetti meno autonomi e/o fragili e sull’ambiente.
I consumi rapidamente variabili dipendono dal reddito disponibile procapite, al netto delle spese fisse annuali/mensili e al netto della propensione al risparmio della persona.
Fasce di reddito apparentemente molto diverse, possono generare consumi rapidamente variabili molto simili, perché il reddito disponibile per i consumi variabili per persona o nucleo familiare, al netto di spese fisse molto diverse (casa, uffici, capannoni, assicurazioni, consumi energetici), può essere molto simile anche per fasce di reddito molto diverse. Un imprenditore che guadagna 20.000 euro al mese, per via delle sue spese, può avere una quota di reddito disponibile per consumi rapidamente variabili a piacere simile a un imprenditore che guadagna 4.000, perché quest’ultimo ha molte spese fisse in meno.
I consumi per investimenti produttivi, invece, sono affrontabili e vengono effettuati, solo se l’imprenditore valuta che produrre di più e/o a un costo minore può effettivamente generare ulteriori consumi finali, che sono la varibile più importante dell’economia.
Probabilmente, in questi anni, la propensione al consumo, quella capace di variare nel giro di un anno o due, e non quella per le spese fisse e non comprimibili, stagna da diversi decenni, vista la crisi economica e occupazionale
La domanda da farsi per valutare una spesa pubblica in un certo periodo, che non sia uno spreco è innazitutto: quali e quanti sono le persone che non hanno assicurato un diritto a consumi di base di qualità (casa, mezzi di produzione, alimentazione e salute, tempo libero, mobilità).
Quindi, che età hanno? in che area geografica vivono? che titolo di studio hanno? Quanti sono? Queste persone, aiutate da un buon reddito universale o di cittadinanza o da un lavoro che fa guadagnare abbastanza e lascia tempo libero, farebbero aumentare rapidamente i consumi e i guadagni delle imprese coninvolte nelle filiere produttive relative.
La seconda domanda è: come è strutturata quella parte produttiva/industriale che produce e vende quei prodotti immediatamente necessari a queste persone? Che tipi di imprese sono, che qualità del lavoro generano? Quanto inquinamento producono questi tipo di imprese e queste filiere? E poi, in che modo quella struttura industriale/produttiva beneficerà dell’aumento di fatturato eventuale: risparmierà, assumerà, innoverà, inquinerà di meno?
Se in un periodo di crisi economica e sociale, come questi decenni, la spesa pubblica viene destinata maggiormente a infrastrutture, incentivi agli investimenti delle imprese, ulteriori indebitamenti, improduttivi di lavoro e tasse, avrà un impatto molto basso sulla disoccupazione, sul diritto ai consumi di base e anche sulla quota di spese variabili di quella parte di persone e imprese disposte a spendere per consumi ecologici e di benessere.
E infine, con l’aumento di reddito e la possibilità di consumare delle fasce di reddito medio alte, verso quali tipi di consumi la maggior parte della popolazione si muoverebbe in questi anni? Cibo, casa, abiti, consumi culturali, mezzi di produzione? Forse, continuerebbe a risparmiare, fornendo ulteriore liquidità alle banche, che non fanno credito agli investimenti produttivi ma preferiscono le speculazioni finanziarie internazionali.
Da un punto di vista macro economico, probabilmente, a parte un lieve sostegno alla domanda grazie ai consumi individuali di alcune fasce di reddito basse, per l’affermazione del diritto ai consumi di base e di qualità di chi non ha redditi soddisfacenti, per indirizzare la spesa pubblica verso la creazione di lavoro e benessere, bisognerebbe puntare sui consumi pubblici locali, dei comuni per esempio, per trasporti locali ecologici, per fare assunzioni adeguati a produrre servizi alle imprese innovativi, che siano capaci di abbassare qualche costo importante del sistema preoduttivo locale.
Bisognerebbe inoltre sostenere il terzo settore e potenziare la sua capacità di affiancare alla dovuta fornitura di servizi di integrazione e inclusione, l’ideazione e vendita per esempio di servizi turistici innovativi in città, oppure l’ideazione e la vendita di servizi di assistenza e trasporto per fasce di popolazione che hanno una minima capacità di spesa e possono pagare servizi innovativi alla persona (trasporti personalizzati per pensionati, assistenza alle attività quotidiane non domestiche).