Il mondo contemporaneo attraverso l’informazione, la cronaca quotidiana sembra un botta e risposta non stop. Più o meno di questo tipo:
Loro hanno fondato un partito di orientamento A.
Lui è andato in televisione e ha detto che A…
L’altro leader ha risposto invece che Y….
Z ha dichiarato che…
Il ministro in carica ha firmato un decreto di legge Tot.
Gli elettori nel sondaggio hanno dichiarato in maggioranza che…
Le esportazioni sono aumentate del X%.
L’occupazione diminuisce nel settore Y.
Il leader di opposizione ha dichiarato per l’occasione che…
Nel paese X l’esercito contrattacca i terroristi.
Il tasso di inquinamento aumenta nel primo trimestre dell’anno.
Il ministro dell’ambiente ha dichiarato che…
Il ministero dell’industria ha raddoppiato i finanziamenti al settore Y.
Il segretario del partito Z ha dichiarato che sarebbe necessario…
Se è questo il modello di informazione prevalente (cronaca e telecronaca dei fatti del giorno), che effetti ha questo non stop sul pubblico/pubblici?
Bisogna inoltre tenere presente che nella cronaca quotidiana ci può essere disinformazione, sottoinformazione, distorsione informativa, ogni giorno o in un certo periodo.
Comunque, al di là della qualità della cronaca, possiamo ipotizzare che questa informazione possa generare alternativamente interesse, apprendimento, insicurezza, senso di inadeguatezza, schieramenti di opinione, irritazione, tifoseria, disinteresse, etc.
Inoltre, non sappiamo se gli effetti reali complessivi nel periodo di tempo X, quali essi siano, possano essere considerati voluti da qualcuno deliberatamente e da chi, nel caso. Bisogna dire che il modello di controllo economico politico dell’informazione assomiglia, in certe cose, agli obiettivi della P2, la loggia massonica deviata dei decenni passati, poi smantellata per via giudiziaria. (vedere Wikipedia).
Comunque, in pratica, l’informazione racconta continuamente una serie di fenomeni tendenzialmente, di carattere personale politico ma anche tanta cronaca nera, fenomeni economici, sociali, comportamenti e decisioni di singoli personaggi, dichiarazioni soprattutto.
L’informazione, però, non prova mai a esplicitare, a esporre un modello di spiegazione dei fenomeni che descrive, cioè “sembra” non avere, non cercare, non adottare, non testare apertamente una teoria, un modello di spiegazione dei comportamenti dei vari attori sociali (politici, ministri, ministeri, elettori, imprenditori, settori economici, città, poveri, stranieri, etc.).
Non applica, “esplicitamente”, ai fatti di cronaca un modello, un frame teorico esplicativo/probabilistico del tipo causa-effetto dei fenomeni, usando appunti dei fenomeni come causa e altri fenomeni come effetti, oppure più propriamente alcuni fenomeni come causa principale, causa secondaria – e altri come effetto principale, effetto secondario.
Inoltre, va considerato che l’informazione tende, anche per fare economia, a selezionare solo un certo tipo di fenomeni, a fare solo un certo tipo di domande agli intervistati, a esporre solo un certo tipo di dati, a intervistare solo un certo tipo di persone, etc.
In definitiva, la copertura giornalistica dei fenomeni è molto parziale e non molto orientata a testare teorie causali apertamente.
Dipende dalla direzione editoriale ma anche dagli automatismi quotidiani acquisiti dall’industria dell’informazione, dei suoi operatori ma forse soprattutto da lobby economico politiche, con vari obiettivi di controllo, non sempre dichiarati e discussi pubblicamente.
Eppure nella storia delle scienze sociali esistono dei modelli di spiegazione chiari, anche se non permettono di prevedere con certezza il comportamento dei vari tipi di attori sociali, in un dato periodo e territorio. Sono infatti delle teorie o modelli probabilistici del comportamento dei diversi tipi di attori sociali (imprenditori, politici, elettori, giovani, anziani, laureati, analfabeti, etc). Questi modelli teorici spesso sono anche coadiuvati da serie storiche di dati statistici, che hanno una loro validità storica, in genere, ma anche una certa validità previsionale per il presente e futuro.
C’è la spiegazione economicista e monetaria del comportamento di persone e imprese, c’è la spiegazione idealista-valoriale. Ma si potrebbe anche dare una spiegazione dei comportamenti che ha a che fare col desiderio delle persone, nelle varie categorie sociali: il desiderio dei soldi, il desiderio del potere decisionale oppure il desiderio di sesso, il desiderio di fare cose giuste, di fare cose distruttive, il desiderio di beni materiali, il desiderio di stare bene, il desiderio di appartenenza, etc.
Però, davanti a un telegiornale, non appare niente di tutto questo, per anni non riusciamo quasi mai a intravedere una lettura cause-effetti chiara di ciò che accade di rilevante per la collettività, per le diverse categorie sociali, mentre i politici offrono continuamente le loro personali opinioni, senza rifarsi a una scuola teorica né economica né sociale, né a dati storici recenti di contesto.
Perché i giornalisti e i politici vivono quasi come in un eterno presente? Spesso con concetti semplici e ripetuti per anni, senza apprendimento o progresso dalle prove del passato? Perché in tv e sui giornali non appare quasi mai una critica di questo approccio descrittivo della realtà?
In genere, le spiegazioni fornite da giornali e politica sono rare, semplicistiche, latenti, allusive e contrapposte schematicamente tra destra e sinistra: Il crimine X è stato commesso da una persona di nazionalità Y (quindi è la nazionalità a indurre a un certo tipo di comportamenti?), il crimine X è dovuto al disagio (quindi è colpa genericamente della società), senza nessuna o quasi coerenza con specifiche politiche realizzate o non realizzate, della propria parte.
Altre volte, le spiegazioni riguardano i fenomeni finanziari, del tipo: l’innalzamento del tasso di interessi ha provocato un calo degli investimenti, l’aumento degli occupati ha provocato un aumento dei consumi. E magari si afferma, in maniera spesso molto azzardata, non per esperienza e senza verifica, che la tale legge ha provocato un aumento dell’occupazione, senza verificare appunto se l’occupazione è aumentata, in realtà, per altre cause, da considerarsi principali, mentre la legge è da considerarsi solo una causa accessoria o secondaria.
Infine, ci sono le spiegazioni, diciamo eufemisticamente, fantasiose, è il caso della spiegazione delle guerre: è un intervento umanitario, è esportazione della democrazia, è per combattere il terrorismo. Adesso si parla di deterrenza, per giustificare l’aumento delle spese militari. In questo caso, possiamo dire che prevale proprio la spiegazione giustificativa, super propagandistica rispetto alle ragioni del denaro, del capitale e delle grandi multinazionali, che possono condizionare direttamente e indirettamente generazioni di politici e giornalisti con i loro affari di morte.
Passando a un altro argomento, sempre sul tema dell’informazione, per quanto riguarda cioè l’evoluzione del rapporto tra industria mediatica e pubblico, chi si occupa di mass media, mezzi di comunicazione di “massa” sa che una volta esistevano degli opinion leader di un certo peso e potere di influenza… “Lo ha detto la radio, il telegiornale, lo ha detto il Professore X, etc. Oppure… “lo ha detto il segretario di partito Y, il giornale di partito Z, lo ha detto il sindacato, il sindaco, il vescovo…”.
Questo meccanismo di leadership culturale, incarnato da singole persone, è stato via via smontato o si è affievolito, di fatto, cosí come non esistono più le masse e le classi culturali come in passato potevano essere individuate, più facilmente, nella popolazione complessiva: i contadini, gli operai, i colletti bianchi, la borghesia, etc.
In negativo, questo mancanza/riduzione di leader di opinione generali, di cui ci si fida ciecamente, significa dover fare personalmente lo sforzo di ricostruire, come cittadino, un quadro complessivo della situazione e di interpretazione dei problemi collettivi, per votare, per esempio, ed essere anche molto manipolabile da chi ha posizioni di potere dominante sul sistema mediatico complessivo, soprattutto se si è molto insoddisfatti e frustrati, e quindi emotivamente sensibili.
Ma visto in positivo, questa evoluzione significa non avere più la pappa per tutti preparata da pochi leader di opinione nazionali e procedere lentamente verso l’indipendenza di giudizio dei singoli o la scelta di propri punti di riferimento.
Diciamo che i leader di opinione giornalistici e politici, mi pare, che diminuiscano verso gli anni 80-90, via via con la scomparsa dei grandi giornalisti italiani della stampa e i grandi leader della politica e sindacali del dopoguerra, e la comparsa invece di quelli televisivi. Negli anni recenti, in politica, dopo Berlusconi e Bossi, c’è solo Grillo che ha avuto questo importante ruolo interpretativo della realtà per tante persone, contemporaneamente. Infine, c’era papa Francesco, ma qui siamo ancora in un altro campo, molto più generale di leaderismo di opinione.
Considerando allora il fare politica nel secondo dopo guerra, possiamo dire che tutto sommato negli anni ’50, ’60 e ’70 era forse più facile, con ruoli più definiti ed efficaci, sull’opinione pubblica e sulla realtà economica e sociale.
È probabile inoltre che nonostante le grandi differenze territoriali e culturali nel paese, gli italiani avessero più voglia e motivi di andare avanti, esplorando e seguendo i nuovi modelli di qualità della vita offerti dal “progresso”. E poi l’economia ha galoppato abbastanza per qualche decennio: lavori pubblici, edilizia privata, crescita della pubblica amministrazione, ampi settori parastatali con tanta spesa pubblica. C’erano solo due o tre canali Rai, dei buoni giornali con diversi orientamenti da scegliere e la voglia e la necessità diffusa di sposarsi, fare figli, studiare, comprare casa, fare le vacanze.
Poi, negli anni ’80-’90, un po’ come Fantozzi, ci si è scoperti più facilmente insoddisfatti, la crescita economica per tutti o quasi si è bloccata, ci si è chiusi dentro case sempre più blindate, si è avvertito più pericolo di criminalità, sono cominciati ad arrivare in Italia centinaia di migliaia di poveri da altre nazioni. Poi, si è scoperta la corruzione della politica, la mafia, e la fine dei partiti e della partitocrazia, che è stata sostituita da leader sempre più televisivi, populisti, che hanno cavalcato la grande frustrazione degli italiani. La vecchia sinistra senza idee e sempre meno convincente anche nelle sue trasformazioni generazionali, insieme ai sindacati, senza crescita economica, ha appoggiato privatizzazioni, taglio della spesa pubblica, precarizzazione, senza offrire alternative praticabili.
Il capitalismo con la sua tirannia finanziaria, in affanno con la frenata dei consumi e anche della spesa pubblica (crisi fiscale), si è inventato nuove guerre in giro per il mondo, con la complicità di politici senza più cultura etica solida, personale e di gruppo, che sempre più, da anni, si combattono in tv sterilmente, per prendere i voti di un elettorato sempre più scettico e fluido.
Ma nel frattempo la cultura e le culture del sapere e del saper fare degli italiani è andata avanti, la Pubblica Amministrazione ha ripreso nuovi metodi ed è meno burocratica e più progettuale, le piccole e medie imprese sono costrette ad aggiornarsi, inoltre si sono fatti passi avanti nella raccolta differenziata. C’è il terzo settore che è cresciuto, anche grazie ai fondi europei e le energie rinnovabili progrediscono, e forse tanti altri piccoli cambiamenti culturali e organizzativi positivi sono avvenuti anche se non è sempre facile capirli e valutarli da soli, come cittadini.
Per quanto riguarda la condizione delle nostre democrazie moderne, l’evoluzione verso post democrazie è state fotografata negli anni novanta da Colin Crouch, un importante sociologo e politologo inglese, che ha scritto anche altri libri importanti successivamente. Ma forse ,quasi 20 anni prima, Rino Gaetano con “Nuntereggaepiù” ci aveva anticipato la questione delle post democrazie, della disaffezione degli elettorati, con molta ironia e sintesi.
Possiamo dire allora che la democrazia e la politica non solo non sono la stessa cosa ma che si sono separate progressivamente, a partire dagli anni ’70-’80, in tutto il mondo sviluppato o quasi. Mentre il mondo sottosviluppato fa ancora la fame in balia vari regimi autoritari/militari o precari, la nostra politica ignora ormai il mondo reale e le sue tragedie, anzi le alimenta addirittura, per esempio a partire dalla guerra in Vietnam degli Stati Uniti, quella in Afghanistan della Russia quasi negli stessi anni, di Israele in Palestina, fino ai giorni nostri, con la guerra Nato-Russia in Ucraina e chissà ancora per quanti decenni.
Possiamo pensare però che ci siano delle culture moderne/democratiche nuove che stanno emergendo da anni e emergeranno in tanti paesi e sono di vario tipo. Provengono da vari tipi di organizzazioni che fanno da “nuove scuole” in tanti percorsi di carriera, come luoghi di innovazione e apprendimento, di nuove solide pratiche e orientamenti valoriali.
Cercando una sintesi per l’Italia, ma probabilmente il discorso potrebbe valere in molte parti del mondo, potremmo dire che c’è la cultura tecnico/amministrativa/giuridico/istituzionale della nuova Pubblica Amministrazione.
C’è una nuova cultura teorico pratica dell’ambiente e del territorio che si sta sviluppando un po’ nella pubblica amministrazione locale (gestione dei rifiuti, ambiente), un po’ nell’associazionismo ambientalista storico e forse cominicia anche in una parte delle imprese più sensibili e attrezzate.
C’è una cultura dell’inclusività/salute/povertà che si è sviluppata nel terzo settore, cattolico e laico diffusamente dagli anni ’90 e storicamente anche nel sistema sanitario pubblico, forse anche nel privato.
Poi, c’è una cultura dell’impresa/lavoro non più sempre contrapposta, che forse si sta sviluppando nelle imprese piccole e medie che stanno sul mercato, in cui il lavoro manuale, il lavoro direzionale e la proprietà tenderanno a collaborare, probabilmente, per necessità condivise.
E infine, una cultura comunicativa/culturale/educational che proviene da scuole, istituti di formazione, università e dalla partecipazione diffusa sul web.
Come si mescoleranno queste culture emergenti con le vecchie culture politiche/statali e industriali democratiche del ‘900, divisibili schematicamente in cattolici, comunisti, socialisti, liberali? Ci saranno nel prossimo futuro dei nuovi partiti capaci di creare dei mix specialistici, in termini di proposte politiche, al loro interno, per rappresentare nuovamente e solidamente l’Italia nel Parlamento?
Dipende da nuove leggi elettorali più proporzionali, secondo me, da nuovi partiti capaci di essere aperti, scalabili e sostenibili finanziariamente. Ma per adesso, non mi sembra che la politica italiana nazionale abbia questo orientamento.
Questo articolo è un mix di appunti nati in giornate recenti ma differenti che ho assemblato e rivisto in questo modo, come spunti di riflessione per i lettori di questo blog. I pezzi originari si trovano in parti separate su https://massimopizzo.blogspot.com. 🙂
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